OSS in cure palliative: l’importanza di conquistare la fiducia del paziente

OSS in cure palliative: l’importanza di conquistare la fiducia del paziente

L’OSS, Operatore Socio Sanitario, è una figura professionale cruciale nell’assistenza e nell’igiene dei pazienti non autonomi, che si tratti di malati in carico alle cure palliative oppure ad altri servizi. Camilla Carugo, che svolge questa attività per l’Hospice di Abbiategrasso, ci spiega il motivo di tanta importanza.

14/4/2021 | Racconti ed interviste
OSS in cure palliative: l’importanza di conquistare la fiducia del paziente

Ciao Camilla, è davvero così fondamentale l’OSS per i pazienti delle cure palliative?

Ciao, penso proprio di sì. Pur tralasciando gli aspetti più tecnici della mia professione, sui quali potrei parlare davvero a lungo, invito tutti a riflettere sul tema della dignità. Chiunque di noi quando si lava, quando si fa la barba oppure quando va dal parrucchiere lo fa per una questione igienica ma anche per sentirsi meglio con sé stesso. Il lavoro dell’OSS, soprattutto nelle cure palliative, ha il prezioso compito di far sentire le persone a loro agio con piccole attenzioni di questo tipo. Per sintetizzare potrei dire che l’OSS, al pari degli altri professionisti delle cure palliative, restituisce dignità alla persona malata.

Nel tuo lavoro, al domicilio o in Hospice, utilizzi alcuni materiali o strumenti specifici?

Diciamo di no, però è bene che mi spieghi. In hospice abbiamo tutto ciò che ci occorre per una corretta igiene del paziente. Ci sono traverse, spugne, saponi, pedane, sgabelli specifici e docce pensate per persone con scarsa mobilità. Quindi, a parte gli strumenti che ho elencato, di solito non utilizziamo altro. Al domicilio invece è tutto diverso perché pur avendo i nostri strumenti a volte non si possono usare e bisogna arrangiarsi con quello che c’è. Noi forniamo presidi specifici in base alle necessità e in base alla disponibilità del magazzino. Questo però non è un compito dell’Hospice di Abbiategrasso, lo facciamo solo per le famiglie in difficoltà e solo grazie alle tante donazioni (anche di materiali) che riceviamo. Anche rispetto all’utilizzo del sapone siamo piuttosto flessibili. Noi abbiamo i nostri prodotti, che sono neutri e anallergici, però rispettiamo le scelte della persona malata. Ad esempio, se è abituata ad usare un sapone particolarmente profumato, e non ci sono criticità a riguardo, noi rispettiamo la scelta.

L’igiene è qualcosa di molto intimo e personale, come fai a farti accettare?

È un processo che in hospice subisce un’accelerazione mentre al domicilio procede più lentamente. L’hospice è una struttura protetta, attrezzata e in cui le persone sono più consapevoli della condizione di fragilità e della necessità di aiuto. Per cui il processo di accettazione e di conquista della fiducia è più rapido che al domicilio. Quando sono a casa dei malati dedico molto più tempo agli aspetti relazionali, a far parlare le persone, a capirle e a rilevare i bisogni latenti. Poi, quando mi hanno accettata, posso iniziare con l’attività più specifica. In questo ho trovato più imbarazzo da parte delle donne rispetto agli uomini. Forse le signore di una certa età sono più pudiche e hanno qualche difficoltà a mostrarsi nude e farsi lavare. Con gli uomini è più semplice.

Ti fanno delle confidenze molto intime?

Certo, e questo è importantissimo per il lavoro dei miei colleghi. Spesso le persone si aprono molto di più con me che con un medico o un infermiere. Probabilmente parlando con il medico dei loro problemi connessi alla malattia temono di ricevere notizie poco confortanti. Invece con me non hanno questo timore e si confidano. Io ascolto e poi ne parlo con l’equipe per cercare di risolvere le criticità senza che la persona viva il nostro intervento come un’ingerenza eccessiva.

E quando un paziente non riesce ad alzarsi dal letto?

Quando uno è allettato l’igiene è più complicata ma ugualmente possibile. In hospice, ma a volte anche al domicilio, capita che un paziente non riesca ad alzarsi e allora la doccia viene fatta direttamente a letto. Usiamo moltissimo materiale per non bagnare il materasso: traverse per coprire, asciugamani per tamponare e ultimamente anche un salvagente. Non è chiaramente quello da mare ma piuttosto una ciambella “aperta” che viene agganciata al collo della persona per consentire la raccolta dell’acqua. In questo modo possiamo fare uno shampoo completo come se fossimo in doccia.

Hai qualche aneddoto o episodio, magari divertente, che vuoi raccontarci?

Sì, ne ho tantissimi se vuoi, soprattutto al domicilio. Due anni fa mi era capitata la sig.ra Antonia che desiderava fortemente vedersi con i capelli in ordine. Così mi sono improvvisata parrucchiera e le ho accorciato la frangia e fatto la tinta: un rosso acceso che, non so perché, è diventato un rosa tenue. Abbiamo riso con Antonia del risultato e lei era anche molto soddisfatta del suo nuovo colore. Quello che conta però è che questa mia attività sia stata concordata con tutta l’equipe che l’ha considerata importante per la qualità della vita di Antonia. È questo che trasforma un intervento magari banale in qualcosa di davvero utile per il paziente. Ad un’altra signora, ad esempio, ho tagliato le unghie e messo lo smalto perché ci teneva molto a sentirsi più bella. E questa volta è andato tutto liscio (ride, ndr). Sono piccole attenzioni a cui tengo e che mi consentono di svolgere il mio lavoro rispettando questa regola come un mantra: “tratta gli altri come vorresti essere trattata tu!”.

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