Educatore in cure palliative: gestione e analisi delle terapie complementari
“Musicoterapia e arteterapia sono due delle attività che nonostante il Coronavirus siamo riusciti ad offrire ai pazienti dell’Hospice di Abbiategrasso. In questo il ruolo dell’educatore è stato cruciale.” Le motivazioni di questa scelta e le modalità di erogazione di questi servizi sono tutt’altro che scontate e Patrizia Tortora, educatrice in cure palliative, ci spiega perché.
Ciao Patrizia, facciamo chiarezza: quali attività sono “saltate” a causa del Covid-19?
Faccio una premessa: rispondendo alla domanda mi riferisco solo agli aspetti che riguardano direttamente il mio lavoro di educatrice ed in particolare a quelle che in cure palliative chiamiamo terapie occupazionali o complementari. Prima della pandemia avevamo in essere tre di queste attività: pet therapy, musicoterapia e arteterapia. È stata sospesa la pet therapy, purtroppo, e per motivi facilmente comprensibili. L’intervento con gli animali necessita di contatto fisico e di presenza, cose impensabili nelle fasi più acute dell’emergenza. Riprenderà certamente al termine dell’emergenza o almeno quando le istituzioni ci consentiranno di procedere.
E le altre due?
Le abbiamo mantenute, seppur a distanza, grazie alla donazione di sei tablet. Con questa dotazione tecnologica siamo riusciti a mettere in collegamento i terapisti e i pazienti. E il risultato è stato davvero apprezzato sia in hospice che al domicilio. I volontari hanno collaborato attivamente alla gestione di alcuni aspetti, specialmente quelli logistici. In tutta sicurezza, rispettando attentamente i protocolli in essere, i nostri volontari hanno talvolta raggiunto i pazienti al domicilio per portare il materiale per l’attività artistica o i tablet per le videochiamate. Il tutto a distanza di sicurezza e senza nessun tipo di contatto fisico.
Dunque anche i volontari hanno un ruolo attivo in queste attività?
Sì, a loro spettano alcuni compiti, tra cui quello di rilevare i desiderata della persona malata. Non sono però loro a individuare il bisogno di terapie complementari, quello spetta alla figura dell’educatore. I volontari dal dialogo con il paziente possono ricavare informazioni utili e trasmetterle a me o all’equipe che poi attiverà i diversi professionisti.
Spiegaci meglio…
Stiamo parlando di un processo, di un percorso di cura. Il bisogno viene effettivamente rilevato con una scheda specifica che compilo a partire dai colloqui che ho con la persona malata. In questo modo valuto il bisogno del paziente allo stato attuale, tenendo però in considerazione ciò che l’assistito ha vissuto in passato e ciò che vivrà nelle settimane che seguiranno. Occorre trovare risposte coerenti che consentano alla persona di sentirsi ancora parte attiva nel proprio progetto di cura e che possano sfociare in un percorso di crescita e cambiamento. Poi subentra il monitoraggio che mi consente di valutare l’efficacia del progetto.
Quindi non si tratta di semplice svago?
Tutt’altro, parliamo sempre e comunque di terapie. Direi che solo raramente fungono da svago. È capitato in qualche occasione che il musicoterapista suonasse qualche pezzo “nazional popolare” e che operatori, volontari e pazienti cantassero tutti insieme. Ma si trattava, appunto, di occasioni ludiche: la festa di Natale, il pranzo di Pasqua, ecc. Lo stesso possiamo dire per l’arteterapia. Queste attività hanno obiettivi più importanti dello svago, lavorano in profondità su aspetti emotivi, relazionali ma anche sull’inconscio, la separazione e il lutto. Molti pazienti hanno difficoltà ad esprimere le loro emozioni, altri hanno desiderio di raccontarsi. Le immagini e la musica hanno proprio questa funzione. Nella scheda di rilevazione che utilizzo in condivisione con questi professionisti emergono tematiche interessanti, compreso l’atteggiamento che il malato assume nei confronti del terapista: difensivo, collaborativo, agitato, ecc. Alcuni degli aspetti che reputo davvero molto utili fanno riferimento alla differenza tra quello che io percepisco e indico in fase di prima compilazione e quello che invece rileva successivamente il terapista occupazionale.
Hai in mente di proporre altre attività complementari?
Mi piacerebbe, anche se hanno un costo importante per le casse dell’Hospice. In primis servono persone formate e competenti. E poi serve il tempo da dedicare a queste persone per introdurle nella nostra realtà e poter lavorare a stretto contatto con persone gravemente malate. Penso alle terapie con oli essenziali (aromaterapia) molto utili a riequilibrare la sfera psichica ed emozionale. Un’altra tecnica che conosco bene è il massaggio Shiatsu molto noto e che non ha certo bisogno di presentazione. Tuttavia, se proprio dovessi scegliere, opterei per il mindfullness una pratica di meditazione che deve la sua genesi ai precetti del buddhismo. È molto in voga negli ultimi anni e sono certa che darebbe grande benefici ai pazienti dell’Hospice di Abbiategrasso.