I miti da sfatare sulle cure palliative raddoppiano: da cinque a dieci.

I miti da sfatare sulle cure palliative raddoppiano: da cinque a dieci.

Nel periodo in cui Luca Moroni era ancora alla guida della Federazione Cure Palliative, parliamo del settembre 2017, gli avevamo chiesto di elencare e sfatare cinque miti riguardanti le cure palliative. Ora, in veste di direttore dell’Hospice di Abbiategrasso, l’abbiamo interpellato di nuovo per chiedergli di parlarci di un documento, pubblicato di recente, che racchiude i 10 miti sulle cure palliative.

10/4/2021 | Racconti ed interviste
I miti da sfatare sulle cure palliative raddoppiano: da cinque a dieci.

Da dove nasce l’idea di questa infografica (documento)?

Premetto che non è opera mia. Origina infatti da un girovagare sul web e da un legame che abbiamo con alcune aree del mondo in cui le cure palliative sono più sviluppate rispetto all’Italia. Per cui quando cerchiamo dei riferimenti internazionali, anche nella comunicazione, spesso guardiamo all’esperienza di paesi come l’Australia, il Canada e ad alcuni stati del nord Europa dove questa disciplina è certamente più diffusa. Questa bella infografica è opera dell’CHPCA - Canadian Hospice Palliative Care Association.

Ci sono molte differenze tra i tuoi cinque miti e i 10 individuati dai canadesi. Perché?

La risposta non è facile. Ho notato che nel 2017 avevamo stressato l’accento su temi etici che nel documento Canadese sono più sfumati. In Italia è ancora necessario fare chiarezza sulla sedazione palliativa, che è una pratica doverosa e necessaria per molti malati assistiti dalle cure palliative, e che nulla ha a che fare con pratiche eutanasiche. Questa è una preoccupazione tipicamente italiana; nei paesi anglosassoni l’approccio è più laico e pragmatico e il dibattito è meno viziato da strumentalizzazioni ideologiche.
Per la parte economica, invece, ripeto spesso e volentieri il seguente concetto: le cure palliative hanno un costo ma, quando sono appropriate, consentono al SSN (Sistema Sanitario Nazionale) di ridurre gli sprechi che derivano dal reiterare cure inutili e dannose. In Canada questa consapevolezza è ampiamente diffusa e le cure palliative hanno trovato l’attenzione che meritano.

Che cosa aggiunge lo strumento canadese rispetto a quelli analoghi prodotti in Italia?

Leggendolo con attenzione si capisce che ci sono molte aree che hanno bisogno di chiarimenti e molto miti da sfatare in Canada come nel resto del mondo. Mi riferisco alle cure palliative rivolte ai bambini e agli adolescenti, più volte citate nel documento, che per quanto diffuse necessitano anche in Canada di ricerca, dibattito e risorse economiche. In Italia sono quasi inesistenti sia gli hospice pediatrici sia le competenze specifiche. Ci sono solo poche esperienze in questo settore: VidasFondazione Seragnoli e Fondazione Maruzza Lefebvre sono Organizzazioni Non Profit impegnate a sviluppare e diffondere le poche pregevoli esperienze italiane.
Altro elemento ricorrente nell’infografica Canadese è il focus sugli aspetti relazionali tra paziente ed equipe curante: viene evidenziata la necessità di una conversazione aperta e sincera sui temi legati alla malattia e l’opportunità di una presa in carico precoce e tempestiva delle persone malate che hanno bisogno di cure palliative, non solo quindi nel fine vita e non solo negli Hospice ma in qualunque luogo, compreso la propria casa.

Recentemente sei stato a Berlino al Congresso dell’EAPC (European Association for Palliative Care). Come vedi il futuro delle Cure Palliative?

È stato un congresso interessante e ricco di stimoli cui hanno partecipato più di 3000 delegati da tutto il mondo. Provo a sintetizzare questa esperienza in tre spunti di riflessione che riguardano i temi dell’Advocacy, l’Università e le comunità solidali. Per Advocacy intendo la tutela dei diritti dei malati attraverso attività di informazione e promozione delle cure palliative nei confronti dei decisori politici a tutti i livelli: ministeriale, regionale e delle Aziende Sanitarie. A Berlino in particolare sono stati presentati “l’Atlante sulle cure palliative in Europa” e il “Libro Bianco sulle cure palliative” edito dall’Accademia Pontificia della Vita. Tra le finalità di tali pubblicazioni è esplicito l’obiettivo di orientare le scelte della politica affinché le cure palliative ottengano l’attenzione che meritano.
È purtroppo emerso evidente la mancanza del contributo dell’Università italiana alla ricerca in questo settore. Salvo rare e recenti eccezioni, le nostre Università non si sono ancora impegnate né nella formazione delle professioni sanitarie né nella ricerca scientifica. In un contesto internazionale l’assenza di un settore accademico disciplinare di cure palliative in Italia si fa sentire e penalizza il nostro paese nonostante la ricchezza di un mondo di professionisti motivati e preparati.
Il terzo e ultimo spunto è venuto in particolare dai paesi in via di sviluppo. Parlo del Kerala indiano, ad esempio, ove ci sono esperienze dalle quali c’è molto da imparare. In contesti di risorse economiche e tecnologiche decisamente ridotte, è invece molto alta la capacità di coinvolgere i cittadini e i volontari per generare comunità solidali capaci di stare vicino e di affrontare i problemi delle persone malate.

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